Ideazione, regia e danza: Alessandro Pintus

Musiche originali: Gabriele Quirici

 

SINOSSI:

"Cabras” è un assolo di 55 minuti che rappresenta l'essenza dei miei sforzi nel campo della ricerca sulla danza Butoh. Un lavoro che contestualizza la filosofia del Butoh in ambito italiano e che rappresenta un riappropriarsi del nostro corpo di carne attraverso la riscoperta delle radici della nostra cultura.

Cabras” è il grido primordiale di un infanzia indeterminata, l’incertezza della vita nelle sue fasi iniziali. E’ la celebrazione della nascita di un corpo fragile e divino. E cosa c'è di più sacro e oscuro di una vita che sta nascendo? “Cabras” è il tentativo, attraverso un processo di danza, di trasformazione di energie opposte presenti in natura, in un unità di equilibrio: Luce e buio, maschio e femmina, vita e morte.

Lo spazio scenico è composto da una scenografia minimale costituita da un “paravento” o “quinta” di canne palustri.

Il corpo del danzatore è nudo, come solo può essere chi è appena nato, innocente e senza peccato. Corpo nudo perché consapevole di essere in comunione col creato. Corpo nudo perché è in grado di trasformare l’ombra in luminosità, la dualità in fluida unità. Nudo, puro e quieto è il corpo, come un fragrante canneto estivo.

 

POETICA:

Cabras” è la genesi di un seme in uno stagno salmastro. Larve di zanzare, strisciare di lumache, anguille cieche. Gracidare orgiastico di rane, in una serenata di luna crescente, tra le canne palustri.

Un delicato e instabile confine che separa e unisce la vita e la morte. Uno spazio indefinito che combina l’ esistenza a due forze opposte ed in continuo conflitto, che tendono a lacerare l’ essere, costretto ad una lotta per la sopravvivenza. Il corpo si fa luogo di una genesi incerta ed in continua crisi. Il corpo si apre, trema convulsamente, si agita, viene abitato da presenze che ne mettono indubbio l’integrità. Il corpo viene attraversato dalla vita in tutta la sua drammatica verità, in bilico persistente tra essere e non essere; fino al momento in cui la verità organica della carne non emerge, luminosamente consapevole. Il danzatore si fa varco tra due dimensioni, divenendo il limite tra il dentro ed il fuori, il sopra e il sotto. La carne del danzatore diviene terra di confine dove transitare per potersi elevare, per poter andare oltre. L’uomo diventa così il punto d’incontro tra creato e creatore.

 

Riflessioni attorno al titolo:

Cabras” è un lavoro ispirato alla mia terra d’origine, la Sardegna e alle canne palustri dello stagno di Cabras, paese natale di mio nonno materno, dove andavo spesso a giocare da bambino nelle ore assolate della torrida estate oristanese. Una performance da considerare come un viaggio di ritorno, un ripercorrere la corrente che porta alla sorgente. Un processo a ritroso alla riscoperta delle tracce lasciate da chi fu prima di me; da chi fece la strada che adesso percorro, prima di dissolversi nuovamente in quella infinità che gli diede vita.