“…E io Giuseppe stavo camminando, ed ecco non camminavo più. Guardai per aria e vidi che l’aria stava come attonita, guardai la volta del cielo e la vidi immobile e gli uccelli del cielo erano fermi. Guardai a terra e vidi posata lì una scodella e degli operai sdraiati intorno, con le mani nella scodella: e quelli che stavano masticando non masticavano più, e quelli che stavano prendendo cibo non lo prendevano più, e quellio che stavano portandolo alla bocca non lo portavano più, ma i visi di tutti erano rivolti verso l’alto…” (Protovangelo di Giacomo)
“…E come frutti noi siamo. Alto pendiamo
a dei rami stranamente
tortuosi e molti venti ci giungono. Quello che
sta a noi, è la nostra maturità, il nostro sapore
e la nostra bellezza. Ma la forza
per tutto questo confluisce in un solo tronco da
una radice che si è propagata fino a coprire
dei mondi in noi tutti. E se vogliamo testimoniare in favore
di questa forza, dobbiamo utilizzarla ciascuno nel senso
della propria più grande solitudine. Più ci sono solitari, più
solenne, commuovente e potente è la loro comunità…” (Rainer Maria Rilke, 1898)
“Forget your perfect offering.
There is a crack, a crack in everything
That’s how the light gets in” (Leonard Cohen)
“…Diè mano ei tosto
al bell’arco, già spoglia di lascivo
capro agreste. L’aveva egli d’agguato,
mentre dal cavo d’una rupe uscìa,
colto nel petto, e su la rupe steso
resupino. Sorgevano alla belva
lunghe sedici palmi su l’altera
fronte le corna. Artefice perito
le polì, le congiunse, e di lucenti
anelli d’oro ne fregiò le cime.
Tese quest’arco, e dolcemente a terra
Pandaro l’adagiò. Dinanzi a lui
protendono le targhe i fidi amici,
onde assalito dagli Achei non vegna,
pria ch’egli il marzio Menelao percuota.
Scoperchiò la faretra, ed un alato
intatto strale ne cavò, sorgente
di lagrime infinite. Indi sul nervo
l’adattando promise al licio Apollo
di primonati agnelli un’ecatombe
ritornato in Zelèa. Tirò di forza
colla cocca la corda, alla mammella
accostò il nervo, all’arco il ferro, e fatto
dei tesi estremi un cerchio, all’improvviso
l’arco e il nervo fischiar forte s’udiro,
e lo strale fuggì desideroso
di volar fra le turbe..” (Dal IV libro dell’Iliade)
“…Nello stesso modo, quando pronunciamo la parola “vita”, dobbiamo renderci conto che non si tratta della vita quale la conosciamo attraverso l’aspetto esteriore dei fatti, ma del suo nucleo fragile e irrequieto, inafferrabile dalle forme. La cosa veramente diabolica e autenticamente maledetta della nostra epoca, è l’adattarsi sulle forme artistiche, invece di sentirsi come condannati al rogo che facciano segni attraverso le fiamme…” (Antonin Artaud)